Il 25 novembre, scelta come data per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne in memoria delle sorelle Mirabal, attiviste della Repubblica Dominicana, barbaramente uccise il 25 novembre 1960 dagli agenti del regime di Rafael Trujillo, si fanno bilanci, si diffondono numeri, si constatano peggioramenti, miglioramenti, stagnazioni, si organizzano manifestazioni. Ma prima dei numeri, che sono, vedremo, centrali in questo articolo, è forse utile partire da una considerazione che può essere presa come piccola mutamento positivo della società: il fatto che la parola femminicidio sia divenuta di uso comune, sia uscita dai circoli ristretti di studiose e di attiviste, diventando, invece, parte del linguaggio corrente, con un significato chiaro alla maggior parte delle persone. Il femminicidio, lo ripetiamo, si chiama così proprio perché definisce un tipo di delitto che avviene all’interno di relazioni impregnate di una struttura culturale arcaica, che ancora non si dissolve. La prima ad usare il termine "femicide" nell'accezione odierna è stata la sociologa Diana Russell nel 1992 per descrivere l'uccisione da parte di un uomo di una donna "in quanto donna", quello che in Italia succede circa ogni 72 ore. Nonostante i negazionismi, e l’accusa di voler fomentare la guerra tra i sessi, resta un fatto innegabile dieci anni fa e oggi: le donne continuano a morire per lo stesso motivo. La violenza, che porta come conseguenza ultima alla morte, è la punizione che l’uomo infligge alla donna perché non si è comportata come lui desiderava. Questa è la risposta brutale alle tante domande sul perché questa violenza accada, perché per chi la subisce sia così difficile uscirne, perché le società tutte non riescano a debellarla, né con gli inasprimenti delle pene, né le modifiche del codice di procedura penale (come da noi è successo con il Codice Rosso), né con politiche basate sull'educazione alla sessualità e affettività, presenti da mezzo secolo in, per esempio, Nord Europa, dove, tuttavia, non s'è mai raggiunto l'obiettivo di zero femminicidi all'anno.
Nel mondo una donna muore ogni 10 minuti per mano di un uomo
Ma venendo ai numeri ma anche alle origini di questo massacro, ecco che secondo le nuove stime globali sul femminicidio elaborate dalle Nazioni Unite, ogni giorno nel mondo circa 140 donne e ragazze muoiono per mano del partner o di un familiare. Il rapporto di UN Women pubblicato in occasione di questo 25 novembre, ci dice che nel 2023 sono state 85 mila le donne o ragazze che sono state uccise intenzionalmente da uomini, con il 60% (51.100) di queste morti commesse da qualcuno vicino alla vittima. Volendo visualizzare meglio, è come se un'intera città di piccole dimensioni, per esempio Lecce, venisse spazzata via. Tutto questo non può che dirci che siamo di fronte a un concetto di violenza sistematizzata, una correlazione fra l’essere donna e rischiare di morire di morte violenta. Se questa correlazione non fosse così profondamente accettata nella società, per i numeri di donne uccise ci sarebbe domani una guerra civile. Invece di fatto è normale. Ma a questo si aggiunge l'altra metà della notizia, e cioè l'origine di questa distruzione, che è nella maggioranza dei casi (ripetiamo: nella maggioranza dei casi) qualcuno di vicino, di, come si usa dire, "caro" a chi poi verrà ammazzato. UN Women, infatti, ha affermato con chiarezza che i suoi dati mostrano come, a livello globale, il posto più pericoloso per una donna sia la sua casa, dove la maggior parte delle donne muore per mano e per volontà dei maschi.
Anche in Italia oltre la metà dei femminicidi sono attribuiti al partner o all'ex partner della donna uccisa e circa il 20% ad altri parenti. In particolare, 4 omicidi su 5 avvengono quindi nell'ambito familiare ristretto o allargato. Quando si parla di femminicidio non si può prescindere dal contesto di discriminazioni e pregiudizi sociali in cui questo avviene. E l’Enciclopedia Treccani, che ha scelto come parola del 2023 femminicidio e lo ha fatto, come scriveva nelle motivazione, "per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale", citando i più importanti studi sul tema, arriva a precisare che il termine femminicidio "indica sempre la motivazione patriarcale alla base di questi omicidi e altre forme di violenza sulle donne". Ecco a cosa ci riferiamo quando, accademicamente, si usa la parola patriarcato, io maschio possiedo, te, femmina, e posso decidere di disporre della tua vita come meglio credo. Anche disfacendomene. La definizione politica di femminicidio, dunque, esiste e se aggiunta a quella statistica restituisce il quadro di una situazione globale molto grave. Nyaradzayi Gumbonzvanda, vicedirettrice esecutiva di UN Women, ha affermato: "Quello che i dati ci dicono è che è nella sfera privata e domestica della vita delle donne, dove dovrebbero essere più al sicuro, che molte di loro sono esposte a violenze mortali. "Consideriamo i numeri di questo rapporto come la punta dell'iceberg", spiega sempre Gumbonzvanda "perché sappiamo che non tutte le morti delle donne vengono registrate e non tutte le cause di morte vengono registrate accuratamente come femminicidi, e va detto che ci sono molte comunità in cui non possiamo accedere ad alcuna informazione".
Le stime globali delle Nazioni Unite sul femminicidio, definito come l'omicidio di donne e ragazze per motivi di genere, hanno mostrato una diminuzione complessiva delle 89.000 morti intenzionali di donne e ragazze nel 2022 , ma un aumento dei numeri delle vittime uccise da partner intimi e familiari. I dati dell'agenzia delle Nazioni Unite dedicata all'uguaglianza di genere e all'emancipazione femminile hanno mostrato che l'Africa ha registrato i tassi più elevati di femminicidio nelle relazioni intime e tra partner, con una stima di 21.700 vittime nel 2023, seguita dalle Americhe e dall'Oceania. In Europa e nelle Americhe, la maggior parte delle donne veniva uccisa dal proprio partner, mentre altrove i principali responsabili sono stati i familiari più stretti. UN Women ha affermato che i dati disponibili in particolare in tre paesi (Francia, Sudafrica e Colombia) hanno confermato che una “quota significativa” di donne uccise dai loro partner intimi aveva precedentemente denunciato alle autorità qualche forma di violenza prima della loro morte. I dati disponibili hanno mostrato che in Francia, il 79% degli omicidi femminili è stato commesso da partner intimi o altri membri della famiglia tra il 2019 e il 2022, con altre forme di femminicidio, come crimini violenti o sfruttamento, che rappresentano il 5% delle cifre totali. In Sudafrica, i dati hanno indicato che i femminicidi al di fuori della sfera domestica hanno rappresentato il 9% di tutti gli omicidi femminili nel 2020-2021. L'agenzia delle Nazioni Unite ha affermato che la sua rendicontazione sulle stime dei femminicidi a livello globale è stata ostacolata dalla scarsa raccolta di dati da parte di molti paesi in tutto il mondo e che sono pochi i governi che raccolgono dati accurati sui femminicidi commessi al di fuori della sfera nazionale. "Mentre gli stati membri - si legge nel rapporto - hanno adottato sempre più misure per affrontare il femminicidio negli ultimi anni, la responsabilità degli sforzi dei paesi per combattere gli omicidi basati sul genere è misurata anche dalla qualità e dalla disponibilità delle loro statistiche sul femminicidio. Sforzi significativi per invertire la tendenza negativa in termini di disponibilità dei dati aumenterebbero quindi la responsabilità del governo nell'affrontare la violenza contro le donne". D'altronde anche in Italia non esiste una banca dati istituzionale dedicata ai femminicidi. E questo perché "giuridicamente" il femminicidio non esiste nel nostro Codice Penale. Ma non esiste ancora neppure una definizione istituzionale di femminicidio che sia condivisa dai 27 paesi dell’Unione europea. Di conseguenza diventa difficile dare il numero “ufficiale” di delitti la cui definizione criminologica e giuridica ancora non c’è.
Il 94% degli italiani pensa che la violenza di genere sia un problema
In Italia ma anche nel resto d'Europa. Secondo lo studio riportato oggi da Internazionale, Oltre le parole. Narrazione politica e percezione pubblica sulla violenza maschile contro le donne, il 94 per cento degli italiani e delle italiane (senza differenze di appartenenza politica) pensa che la violenza maschile contro le donne sia un tema importante e per il 74 per cento di loro questa è aumentata negli ultimi anni. Inoltre, otto italiani su dieci ritengono che le leggi attuali non siano sufficienti per contrastare il fenomeno. Nonostante questo l’interesse sul tema da parte dei politici è molto basso: nell’ultimo anno meno dell’1,5 per cento dei post sui social network dei parlamentari, dei rappresentati del governo nazionale e di quelli delle autorità locali si è occupato di violenza maschile contro le donne. La ricerca ne ha analizzati trecentomila. Secondo lo studio, i politici parlano del fenomeno solo in occasione di ricorrenze come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne oppure quando avvengono episodi di cronaca nera eclatanti. Inoltre, due volte su tre a scrivere del tema sono le donne, anche tra le rappresentanti politiche. Eppure nel nostro paese sono già, secondo il XI Rapporto Eures, 99 le donne uccise in Italia tra il 1 gennaio e il 18 novembre di quest'anno. "La violenza contro le donne e le ragazze - ha detto la direttrice esecutivo di UN Women, Sima Bahous - non è inevitabile, è prevenibile. Abbiamo bisogno di una legislazione solida, di una migliore raccolta dati, di una maggiore responsabilità del governo, di una cultura di tolleranza zero e di maggiori finanziamenti per le organizzazioni per i diritti delle donne e gli enti istituzionali. Mentre ci avviciniamo al 30° anniversario della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma d'azione nel 2025, è tempo che i leader mondiali si uniscano e agiscano con urgenza, rinnovino e canalizzino le risorse necessarie per porre fine a questa crisi una volta per tutte".